sabato 3 ottobre 2020

Padre Marella docente e pedagogista: «Insegnava ai ragazzi a ragionare, per essere cristiani»

IL SUO LATO MENO CONOSCIUTO DI DOCENTE E PEDAGOGISTA

Una passione fortissima e costante per l’educazione dei ragazzi e dei giovani: è una delle maggiori caratteristiche, ma anche delle meno conosciute, di don Olinto Marella, a tutti noto come «padre Marella», che domani verrà proclamato beato a Bologna nella cerimonia presieduta dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e delegato pontificio. Padre Marella è infatti noto a Bologna soprattutto per la sua intensa opera di carità, che lo portò ad operare nelle baraccopoli della periferia e a creare luoghi di accoglienza appunto per i più giovani, in particolare la «Città dei ragazzi»; nonché, soprattutto, perché negli ultimi anni si metteva ogni giorno nei luoghi più importanti del centro cittadino a chiedere l’elemosina con il cappello rovesciato. Ma l’elemosina che lui chiedeva non era certo per se stesso, ma proprio per un’opera educativa: ai ragazzi che accoglieva nella sua «Città», infatti, offriva non solo un tetto e il cibo, ma soprattutto una formazione umana e cristiana e l’avviamento al lavoro.

«E la passione pedagogica lo caratterizzava fin da giovane – spiegano Annalisa Zandonella e don Alessandro Marchesini, responsabili del Comitato per la beatificazione di Padre Marella –. Basti pensare all’innovativa concezione del “Ricreatorio popolare” che poco dopo l’ordinazione creò, nell’isola natale di Pellestrina, con il fratello Ennio. Lì accoglievano bambini e ragazzi poveri e abbandonati, e anzitutto facevano stare insieme maschi e femmine: una cosa, a quei tempi, ritenuta molto disdicevole, dalla Chiesa ma anche dallo Stato, tanto che fu una delle principali cause della sua sospensione a divinis. Inoltre nel Ricreatorio si attuava un principio di corresponsabilità, per cui i ragazzi stessi collaboravano alla gestione, attraverso un Consiglio che veniva eletto con libere elezioni. E facevano parte integrante del programma educativo musica, teatro, uscite didattiche: una concezione davvero innovativa per il periodo».

«Fu sempre molto interessato al movimento pedagogico e alle grandi novità che in questo periodo si manifestarono in Italia e non solo – proseguono Zandonella e don Marchesini – quando si preparava per laurearsi in Filosofia frequentò anche corsi di Pedagogia, anche di docenti positivisti. Ed ebbe anche importanti incarichi. Dal 1923 al 1925 collaborò con il Ministero dell’Istruzione per la revisione dei libri di testo delle scuole elementari; fece parte di una commissione per la formazione delle maestre di scuola materna e tenne diversi corsi. Ed era grande conoscitore dei maggiori pedagogisti dell’epoca: Maria Montessori, le sorelle Rosa e Carolina Agazzi, Antonio Rosmini, Ferrante Aporti. Dopo la sospensione a divinis cominciò a insegnare nei licei statali, e a Bologna insegnò nelle due scuole più prestigiose della città, i licei classici Galvani e Minghetti e proseguì fino alla pensione. Il suo insegnamento, testimoniano i suoi allievi, non era tradizionale, ma mirava a coinvolgere i ragazzi, a insegnare a ragionare, per divenire buoni cristiani e buoni cittadini».

Chiara Unguendoli


Avvenire, 3 ottobre 2020
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