sabato 2 maggio 2020

PER CONOSCERE I SANTI CINESI FRANCESCANI SECOLARI, MARTIRI NELLA PERSECUZIONE DEL 1900

SCHEDA B
SCHEDA A







Martirologio Romano:
Nella città di Taiyuan nella provincia dello Shanxi sempre in Cina, passione dei santi Gregorio Grassi e Francesco Fogolla, vescovi dell’Ordine dei Frati Minori, e ventiquattro compagni, martiri, che durante la persecuzione dei seguaci della setta dei Boxer furono uccisi in odio al nome di Cristo.

Martirologio Francescano: A Tai-yuen-fu, nella Cina, passione dei BEAT1 GREGORIO GRASSI DA CASTELLAZZO BORMIDA, Vescovo Titolare di Ortosia e Vicario Apostolico dello Scian-si settentrionale, FRANCESCO FOGOLLA DA MONTEREGGIO, Vescovo Titolare di Bagi, Coadiutore del precedente, ELIA FACCHINI DA RENO CENTESE, TEODORICO BALAT DA S. MARTINO DI TOUR, Sacerdoti, e ANDREA BAUER DA GUEBWILLER, Laico, MARIA ERMELLINA GRIVOT DI BEAUNE con altre sei Suore Francescane Missionarie di Maria, GIOVANNI TCHANG con altri quattro Seminaristi ascritti al Terz'Ordine, e finalmente TOMMASO SEN con altri otto  servi, sei dei quali ascritti similmente al Terz'Ordine. Tutti questi per comando dell'empio tiranno Jusien, Vicerè dello Scian-si, in odio della nostra santa fede furono tumultuariamente trucidati dai Boxers. Il Sommo Pontefice Pio XII li ascrisse nel catalogo dei Beati (1900). Giovanni Paolo II li canonizzo nell'anno giubilare del 2000.
                                                             
Liturgia:  
Memoria del 9 luglio
 Ss. ANTONINO FANTOSATI E COMPAGNI
 martiri del I Ordine e III Ordine francescano
Messale Serafico

 


Fra i 120 martiri canonizzati nel 2000, vi è un gruppo di 29 santi, tutti Francescani, uccisi durante la rivolta dei Boxers, il 7 e 9 luglio 1900. Essi erano stati beatificati nel 1946 da papa Pio XII.


Il glorioso gruppo, capeggiato liturgicamente dal vescovo San Gregorio Grassi, comprende 3 vescovi, 4 sacerdoti, 1 fratello religioso: San Gregorio Grassi, religioso vescovo; San Francesco Fogolla, religioso vescovo; San Antonio Fantosati, religioso vescovo; San Elia Facchini, religioso sacerdote; San Teodorico Balat, religioso sacerdote; San Giuseppe Maria Gambaro, religioso sacerdote; San Cesidio Giacomantonio, religioso sacerdote; San Andrea Bauer, religioso.

Il secondo gruppo è composto da 7 suore Francescane Missionarie di Maria (Fmm) : Santa Maria della Pace; Santa Ermellina Maria di Gesù; Santa Maria di Amandina; Santa Maria Chiara; Santa Maria Adolfina e Santa Maria di di San Giusto.

Compongono il terzo gruppo dei martiri francescani della Cina beatificati nel 1946 da Papa Pio XII, e canonizzati nel 2000 da Papa Giovanni Paolo II, cinque protomartiri cinesi seminaristi terziari francescani ed nove domestici, di cui sei terziari francescani.
Sono stati in tutto 14 laici cinesi canonizzati, di cui 5 erano seminaristi, tutti Terziari francescani: 9 i laici che lavoravano nella missione, di cui 6 Terziari francescani.
In tutto sono 11 i Terziari Francescani  canonizzati da papa S. Giovanni Paolo II nel 2000.

ATTENZIONE!
Per un'introduzione storica complessiva si veda la SCHEDA B
che comprende inoltre l'elenco di altri martiri dell'Ofs non canonizzati

PER CONOSCERE
I SANTI MARTIRI CINESI FRANCESCANI SECOLARI
DELLA PERSECUZIONE DEL 1900

Pochi, ma ottimi voleva mons. Grassi i suoi sacerdoti: ecco perché ci troviamo dinnanzi a queste cinque primizie del clero cinese come davanti a cinque autentici giovani molto avanzati nelle vie dello spirito. La disciplina del Terz'Ordine francescano (oggi: Ordine Francescano Secolare), al quale appartenevano, li aveva preparati anche meglio al cimento e al trionfo.

In grassetto il nome secondo la translitterazione dal cinese del Martirologio francescano, segue tra parentesi quella utilizzata da Martirologio romano.


Sono cinque del seminario di Taiyuanfu (dello Chansi):

per le note biografiche vedi piu avanti

1. San Giovanni Tchang (G.Zhang Jingguang), minorista; nato attorno al 1878 a Fujingcun
2. San Patrizio Tong (o Tun), (P. Dong Bodi), chierico; nato attorno al 1882 a Guchengyin
3. San Filippo Tchang Zhihe, (o Zhang Zhihe), chierico; nato attorno al 1880 a Shangqingyu
4. San Giovanni Tchang Huan, (o Zhang Huan), chierico, nato il 18 agosto 1882 a Nanshe
5. San Giovanni Wang Rui (o Van Rui), chierico; nato il 25 febbraio 1885 a Xinli

E sono nove domestici della missione dello Chansi, di cui sei Terziari Francescani per le note biografiche vedi più avanti


1. San Tommaso Sen-Ki-Kuo  (T. Shen Jihe), Francescano secolare, pedissequo di mons. Grassi; nato attorno al 1851 ad Ankeo
2. San Simone Tceng (S. Chen), Francescano secolare, pedissequo di mons. Fogolla; nato attorno al 1855 ad Anyang
3.  San Pietro U - Ngan-Pan (P. Wu Anbang), Francescano secolare, catechista; nato attorno al 1860 a Taiyuan
4. San Francesco Tciang -Iùn (F. Zhang Rong), Francescano secolare, portiere orfanotrofio; coniugato, nato ca. 1838 a Qizi
5. San Mattia Fan (M. Feng De), Francescano secolare, custode notturno orfanotrofio; nato attorno al 1855 a Xiaobashi
6. San Giacomo Ien -Kun-Tun (G. Yan Guodong) aiutante di cucina della Casa,  nato attorno al 1854 a Jianhe
7. San Pietro Tchang, (P. Zhang Banniu), Francescano secolare, domestico avventizio della Casa,  nato attorno al 1850 a Tuling
8. San Pietro Wang -Ol-Man  (P. Wang Erman), cuoco del seminario, nato attorno al 1871 a Guchengyin
9. San Giacomo Tciao -Tcien Sin (G. Zhao Quanxin), domestico avventizio, nato attorno al 1857 a Luilin

Essi, meno tre, facevano parte della Missione denominata «Casa di S. Pasquale» situata a Tai-yuen-fu nello Shan-si, che comprendeva una cattedrale, un orfanotrofio di oltre 200 orfanelle, il Seminario Maggiore per il clero cinese, un convento francescano in un paese poco distante dalla celebre e antica città, un ambulatorio, un costruendo ospedale e inoltre era la residenza del Vicario Apostolico dello Shan-si, monsignor Gregorio Grassi.
Quando il 5 luglio 1900 i Boxer arrivarono a Tai-yuen-fu distrussero le case e il tempio dei protestanti, che essendo più ricchi, furono saccheggiati per primi.
Il vescovo Grassi e il suo coadiutore, monsignor Fogolla, dell'Ordine dei Frati mininir, cercarono di mettere in salvo i cinque seminaristi presenti, ma essi furono fermati alla porta Han-si della città e riconosciuti dalle talari che indossavano, perciò vennero condotti dai soldati del crudele viceré Yü-sien, che capeggiava anche i Boxers, al tribunale del sottoprefetto, con il beneplacito della settantenne imperatrice Tz-Hsi,.
Venne chiesto loro di ripudiare il cristianesimo ed al loro rifiuto fu messa al loro collo una pesante canga (una specie di gogna, strumento di pena cinese) e lasciati agli insulti dei pagani, fino a tarda notte.
Giovanni Tciang di 23 anni, terziario francescano: Patrizio Tong di 18 anni, terziario francescano; Filippo Tciang di 21 anni, terziario francescano; un secondo Giovanni Tciang di 22 anni, terziario francescano; Giovanni Wang di 16 anni, terziario. Questi i giovani seminaristi che morirono con la palma del martirio, immolandosi con lo stesso spirito che aveva animato i primi cristiani: essi non vollero né apostatare, né lasciare soli i padri e le suore della «Casa di San Pasquale».
A loro bisogna aggiungere nove domestici cristiani cinesi.
Quando i missionari furono portati nella «Casa della Pace Celeste», una specie di albergo utilizzato come un carcere provvisorio, i più fedeli li seguirono; nei cinque giorni di detenzione, dal 5 al 9 luglio 1900, le porte del carcere per loro erano aperte, potevano ritornare alle loro famiglie, ma essi preferirono restare e condividere la sorte dei missionari, che l’avevano innalzati con il battesimo alla dignità di Figli di Dio e quasi tutti erano terziari francescani.
Il 9 luglio 1900 i 26 martiri di Tai-yuen-fu, furono portati con la scusa di essere interrogati, nel cortile del tribunale, e lì improvvisamente furono massacrati in un’orrenda carneficina a colpi di sciabolate, in un mare di sangue, quasi tutti decapitati, comprese le suore che subirono il martirio per ultime.
Le teste dei vescovi e di qualche padre furono innalzate alla porta Meridionale, mentre i corpi dei martiri, tutti mutilati, furono lasciati all’offesa della plebaglia pagana fino a sera; furono poi ammassati in una fossa comune vicino alle mura della città, presso la Grande Porta Orientale, dove rimasero per tre giorni, in pasto ai cani ed agli uccelli rapaci.
Poi per paura di una pestilenza, furono sepolti alla rinfusa fuori le mura, assieme alle ossa anonime di mendicanti e giustiziati. Solo nel gennaio 1901, dopo l’intervento armato delle potenze occidentali, i Boxer vennero dispersi, l’imperatrice esiliata e i corpi dei martiri esumati per dare loro pietosa e degna sepoltura. (Cristina Siccardi)


1.
CINQUE MARTIRI SEMINARISTI FRANCESCANI SECOLARI

1. Apre la schiera dei cinque San Giovanni Tciang (Zhang Huan). Entato  in seminario all'età di 11 anni, fu dapprima a Ko-lao-kou sotto la disciplina del p. Ugolino Villaret, bravo e santo missionario francese. Passato poi a Tai-yuen-fu, sotto il p. Elia Facchini, vi iniziò gli studi teologici, facendo contemporaneamente visibili progressi nella pietà. Di carattere vivace, si impose delle forti rinunzie per vincersi. A 23 anni fu trovato maturo per il cielo, dove, capo del piccolo drappello, entrò il 9 luglio con in mano la palma del martirio. Era terziario francescano. I suoi fortunati genitori furono Tcian-te-tciuen e Maria Lu, ferventi cristiani della piccola città di Pin-yao.
Di lui scrive un compagno di scuola: "Giovanni studiava assai diligentemente, ed osservava le regole del seminario. Era di indole vivace, ma di esempio agli altri compagni. Corretto talvolta dal p. Elia, si riconosceva in colpa, ed era ben avanti negli studi cinesi". (Summ., p. 200).

2. San Patrizio Tong (P. Dong Bodi), chierico, è il secondo del gruppo. Nato a Ku-tceng-in, a 12 anni fu ammesso nel seminario minore di Tong-el-kou, e quindi, compiuti gli studi ginnasiali, passò a Tai-yuen-fu. I1 P. Fogolla, allora rettore del seminario, ricompensò la bontà del suo chierichetto scegliendolo a suo compagno di viaggio in Italia in occasione dell'esposizione di Torino del 1898.
Con lui peregrinò pure in Francia, nel Belgio e in Inghilterra, lasciando da per tutto I'impressione d'un'anima candida e privilegiata. Terziario fervente, al ritorno in Cina si sentì chiamato a seguire più da presso le orme di san Francesco, e già stava per passare al noviziato indigeno di Tong-eul-kou quando, sorpreso dalla bufera della persecuzione, offrì impavido la testa al carnefice all'età di 18 anni. Il processo ricorda di lui che, mentre era in carcere, tornò il 9 luglio alla residenza per prendere un oggetto dimenticato, ma, temendo di perdere la corona, che tutto faceva prevedere vicina, rientrò subito e in fretta in mezzo ai suoi cari compagni.

3. San Filippo Tciang Zhihe, (o Zhang Zhihe) chierico, è il terzo seminarista martire, anch'egIi terziario francescano. Fin da giovane, aveva sentito la chiamata di Dio al sacerdozio. D'ingegno alquanto tardo, aveva saputo vincere le difficoltà dello studio con lo sforzo, proprio delle anime generose e nobili, ammirato ed amato dai suoi maestri e compagni, che in Filippo avevano sempre il chierico buono e caritatevole. Era da poco passato da Tong-eul-kou a Tai-yuen-fu, dove il tiranno Yú-sien gli offrì la sospirata palma del martirio.
Un suo compagno traccia di lui questo profilo morale: "D'indole buona, quieto e pacifico con tutti, era scrupoloso osservatore delle regole del seminario, e sopra tutto devoto" (Surnm., p. 20I).

4. San Giovanni Tciang (o Zhang Jingguang) chierico, il quarto dell'eletta schiera, aveva 22 anni quando ebbe la bella fortuna di versare il sangue per Gesù Cristo.
I suoi genitori, Simone e Anna U, antichi e ferventi cristiani di Tong-eul-kou, offrirono al Signore questo loro caro figlio, che all'età di 16 anni cominciò gli studi della lingua latina nel seminario del suo paese. Trasferito il seminario nella capitale, vi andò, rendendosi caro a tutti, specialmente al p. Elia, che ammirando in lui un'indole buona, calma, e una virtù non comune, lo ammise al Terz'Ordine di San Francesco.
Anche di Giovanni Tciang abbiamo un tenue profilo tracciato dal medesimo compagno di seminario più volte ricordato: "Giovanni - egli scrive -  nato a Nan-sce, era un modello di diligenza nello studio e nella preghiera, ma di natura alquanto timida" (Suntm. p.20I). Essere timidi a 22 anni depone in favore: tali sono infatti i giovani che conobbero presto le battaglie e le responsabilità, e vi si preparano con serietà di propositi.

5. San Giovanni Wang Rui , chierichetto di 16 anni, figlio di Giuseppe e di Cecilia Liou di SinJi-tzum, è il più giovane della schiera fortunata.
Caro ai maestri per la bontà precoce e per il suo amabile carattere, Giovanni era il beniamino del seminario. Anche all'esposizione di Torino, dove fu con Patrizio, divenne presto I'idolo di tutti, e il suo padiglione era sempre affollato di visitatori, che non si stancavano di vedere e di sentire pregare nella melodiosa favella di Confucio il piccolo seminarista. Era tonsurato e terziario francescano. La fondatrice delle Francescane Missionarie di Maria, che lo conobbe a Torino, scrive di lui: "Il simpatico giovinetto, candidato al martirio, aveva da 10 a 11 anni, e sapeva maneggiare bene tutti gli strumenti della musica cinese, e dava delle serenate dall'armonia discutibile, ma che perciò non erano meno curiose e interessanti" (Vie, p. 138).
L'eroismo e I'angelico candore di questo giovinetto è tutto nelle risposte che egli seppe dare con la spensieratezza d'un fanciullo al p. Elia Facchini. Questi "aveva veduto che Giovanni, proprio come se si trovasse in villeggiatura, ed era in carcere, giocava tranquillamente nel cortile ed invitava i suoi compagni a giocare... Il p. Elia un giorno lo chiamò: - Ma non è tempo ora di divertirsi!
- Padre, perché? rispose sorridendo Giovanni: Se ci uccideranno non andremo  forse in Paradiso? (4).
Questi i cinque fiori purpurei colti da Dio nel seminario di Tai-yuen-fu. Un padre cinese, che visitò in carcere i martiri del 9 luglio, pochi istanti prima dell'eccidio, attesta: "I seminaristi erano lieti, e non temevano di nulla, continuando i loro soliti passatempi nel cortile" (Summ. p. 188). 


2.
I NOVE MARTIRI DOMESTICI
di cui 6 Francescani secolari
 
Al combattimento e al trionfo dei pastori, dei missionari, delle suore e dei giovani seminaristi, doveva il 9 luglio associarsi un piccolo drappello di umili domestici, addetti a vari  impieghi della Chiesa. Chi conosce il cinese non si meraviglia punto di ciò, specialmente quando questi è cristiano. La sua fedeltà e dedizione, portate spesso fino all'eroismo, sono cose ben note. Il servizio prende allora la forma di ossequio religioso e di gratitudine per il  dono della fede ricevuta. San Francesco Saverio, nel completo abbandono dei suoi connazionali sull'isola semideserta di Sanciano, non ebbe a spettatore e conforto della sua agonia altro che un domestico cinese.

Per comprendere il coraggio e la fede di questi nove domestici, ecco quanto si legge in Acta rnartyrum sinensium: "I cristiani, sull'annunzio della persecuzione, presi da gran timore si riversavano alla residenza (dei vescovi) per chiedere aiuto da mons. Grassi... E poiché si diceva che i Boxers sarebbero venuti in quella notte (21 giugno) a distruggere la residenza, e che già era apparsa una avangtardia a perlusttare il luogo, alcuni cristiani col mandarino Li-fu, egli pure cristiano, che stavano in residenza coi vescovi, cominciarono a preparare una qualche difesa; quando sopraggiunse
dal convento di Tong-eul-kou mons. Fogolla che, alla vista di quei preparativi disse:  "Non dobbiamo fare uso affatto di armi, la Chiesa non deve custodirsi alla guisa degli accampamenti militari: noi siamo gente onesta; perché i Boxers dovrebbero venire conrro di noi?". Udito ciò, alcuni servi dissero indignati: "Se non dobbiamo difenderci, è meglio andarsene". E cominciò tra loto un mormorio; ma il vescovo protestò che se non avessero gettato via le armi, si sarebbe subito allontanato. Allora i migliori tra i servi persuasero anche agli altri di ubbidire, e prese le armi già pronte, le gettarono in una cisterna asciutta, confidando nell'aiuto di Dio" (Summ. p. 178).

Questi migliori tra i servi, di cui parlano gli Atti, avvenuto il trasferimento dei vescovi e dell'altro personale della Chiesa al Kung-koang della "Pace Celeste", li seguirono con grande maraviglia dei pagani e dello stesso Yú-sien, che nei cristiani erano soliti vedere della gente volgare, senza convinzioni e dei semplici "mangiatori di riso". Essi non avevano che a dire una sola parola, fare un sol gesto per ritornare e vivere tranquilli nelle proprie famiglie.
Anche durante i cinque giorni di detenzione era per loro rimasto aperto il carcere: essi preferirono restare e morire accanto a coloro dai quali avevano ricevuto la grazia inestimabile della fede e la dignità di figli di Dio. La Chiesa va superba di tali eroismi, e con compiacenza materna li mostra alla nostra ammtrazione, dopo di averli cinti dell'aureola di beati.


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1. Primo della nobile schiera è San Tommaso Sen-Ki-Kuo. Nato nel 1851 a Lu-nganfu, cinse la corda del Terziario francescano per mano di. S. Francesco Fragolla. Visse al seguito del vescovo S. Gregorio M. Grassi e fu con lui un vero modello di fedeltà e di obbedienza fatta di riverenza e amore. Verscovo e servo s'erano intesi perfettamente e andarono l'uno a fianco dell'altro al martirio.

2. San Simone Tceng, il secondo dei nove, figlio anch'egli di antichi e ferventi cristiani, era nato nel 1854; aveva sentito la chiamata al sacerdozio, cui aveva dovuto rinunciare per malattia ritenuta incurabile.
Terziario francescano, per 30 anni fu servitore fedele di S. Francesco Fragola. Disimpegnò l'ullficio di catechista rimanendo volontariamente celibe per poter servire totalmente il Signore. Il Fogolla lo volle nel suo viaggio in Italia dove lasciò un buon ricordo di sé. E non abbandonò il suo superiore nel martirio.

3. San Pietro U - Ngan-Pan, terzo martite, anch'egli nella giovinezza sentì l' aspirazione al Sacerdozio. Fu Terziario francescano e seminarista. Ma non essendo questa la sua vocazione, abbandonò la veste talare pur conservandosi celibe per tutta la vita. Era nato a Liu-lin-tsuen in Cina nel 1860. Mons. S. Gregorio M. Grassi lo pose alla scuola di un dotto maestro con I'intenzione di farne un laureato in lettere anche per facilitare le relazioni diplomatiche tra I'autorità civile e la Chiesa. Riuscì un discreto verseggiatore e scrisse un manualetto di devozione.
Arrestato alle porte della città, mentre portava aiuti ai missionari. Con le mani legate dietro la schiena fu sospeso ad una trave dove rimase fino a sera. Liberato, riprese la via della Chiesa e accanto ai Vescovi e ai Missionari, aandò con essi contento al martirio a 40 anni di età.

4. San Francesco Tciang -Iùn, quarto del fortunato drappello, aveva 62 anni quando venne decapitato. Modesto agricoltore pensava al lavoro dei campi e alla cura della sua numerosa famiglia di antichi cristiani. Di ammirabile candoore e semplicità fu caro a tutti.
Per 10 anni fu a servizio della Missione, come portinaio dell'orfanotrofio. Fervente Terziario francescano e devoto Madonna passava le ore libere pregando e recitando il Rosario. Seguì le Francescane Missionarie al carcere, stimandosi fortunato di subire insieme a martirio.

5. San Mattia Fan, la quinta vittima, era un fervente neofita; battezzato e cresimato da due martiri: il sacerdote cinese don S. Giuseppe Tciang e mons. S. Gregorio M. Grassi. Nella residenza vescovile della capitale sorvegliava di notte la casa, percuotendo le vigilie notturne all'uso cinese con uno strumento di metallo sonoro. Quasi subito dopo il battesimo si era fatto Terziario francescano. Il martirio lo sorprese all'età di 45 anni.

6. San Giacomo Ien -Kun-Tun (non Terziario fr.), uomo "mirae simplicitatis", come dice il processo, apparteneva all'umile classe dei poveri agricoltori, prestatori di lavoro al primo richiedente. La sua bontà gli aprì le porte della missione, ed il suo ambìto lavoro giornaliero era di preparaîe le pe-tzae, le rape e gli altri ortaggi alla mensa dei missionari, delle suore, del seminario e della santa infanzia. Nell'ultimo anno fu aiutante di cucina, e in questo umile stato raggiunse una virtù non comune, che lo rese candidato al martirio. L'agape fratema del 9 luglio fu l'ultimo pranzo servito dal nosro Giacomo.
Circa tre ore dopo, il sotto-cuoco sedeva alla mensa dei beati, con in mano la palma, a 45 anni di età, sesto del fortunato drappello.

7. San Pietro Tciang, il settimo martire, soprannominato pan niù, mezza vacca, non era un domestico stipendiato della casa, ma veniva spesso per lavori straordinari, ai quali si prestava conpassione quasi religiosa. Soprawenuta la persecuzione, e visti partire alcuni servi per timore, egli si sostituì a loro, andando coi vescovi al martirio a 5I anni. Era, anch'e gli, Terziario francescano.
Alcuni giorni dopo la morte apparve glorioso al figlio, mentre questi stava facendo Ia Via Crucis, e lo esortò ad essere fedele e costante. Dopo cinque giorni, questi cadeva a sua volta sotto la scimitarra del tiranno, confessando intrepidamente la propria fede. "Pietro, dice il processo, era buono, retto, e modello di cristiana pietà" (Summ. p.204).

8. San Pietro Wang -Ol-Man (non Terziario fr.), penultimo della schiera dei nove, fu da bambino accolto ed educato nell'orfanotrofio maschile di Kolao-kou. "Assai buono e osservante dei comandamenti di Dio", come
dice il processo, fu prima al seguito del prete cinese Pietro Sce, che pochi giorni dopo il 9 luglio doveva essere martire. Da due anni circa, però, prima della persecuzione, Pietro Wang era a Taiyuen-fu addetto alla cucina del seminario. Fu in questo umile ufficio che vide sorgere minacciosa la tempesta, sciolto il seminario, disperse le orfanelle, incarcerati i vescovi e i missionari. Da figlio adottivo della Chiesa cattolica conobbe il suo posto, ed al pretorio diede coraggiosamente la vita per Gesù Cristo all'età di 30 anni.

9. San Giacomo Tciao -Tcien Sin (non Terziario fr.) : ancora più edificante è il gesto di Giacomo Tciao, il martire che chiude degnamente la serie dei nove compagni. Il processo ne traccia la fisionomia con queste eloquenti parole: "Uomo di bontà e di rettitudine, ebbe una vita povera e laboriosa, ma ornata di virtù familiari" (Summ. p. 205).
Era domestico avventizio, ma dal giorno che i vescovi furono tradotti al carcere nel vicolo della "Grande Tranquillità"  egli volle essere loro compagno.  Durante il giorno faceva là dentro gli umili
servigi che gli venivano comandati, e la sera tornava a casa sua i suoi. Ma la sera dell'8 luglio, alla mamma e alla moglie addolorate fino alle lacrime, disse che il giorno appresso non sarebbe tornato. Si vociferava che in quel giorno avrebbero uccisi i vescovi, missionari e le suore, ed egli voleva essere del loro numero. Ma se muori, chi penserà ai tuoi figlioletti?, interruppe singhiozzando la vecchia mamma. "La Provvidenza", rispose Giacomo indicando il cielo. Passò la notte in preghiera, e al mattino, secondo il solito, andò al carcere. Condotto al tribunale di Yù-sien, alcuni soldati, suoi vecchi colleghi, vollero salvarlo, dicendo a chi lo teneva legato che egli non era cristiano. Ma Giacomo protestò, confessò di esser cristiano, e fu ucciso. La madre, nel deporre molto tempo appresso queste circostanze, diceva con santa fierezza di non aver mai pianto il suo figlio martire, aggiungendo che la Provvidenza non era mai venuta meno, secondo la promessa di lui, madre veramente cristiana, e degna di aver dato la vita ad un martire! (Sumrn. p. 205).

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A noi, cristiani della vecchia Europa, questi eroici domestici dell'estremo oriente non ancora. conquistato danno una grande lezione di fedelta e di coraggio. E storia di ieri, e sembrano pagine di 20 secoli fa. Alla verità non mancò e non mancherà mai in tutti i tempi la testimonianza del sangue. I nove domestici di Tai-yuen-fu ne sono, se pur ce ne fosse bisogno, un'ultima prova.
I cinque seminaristi e i sei dei domestici cingevano la corda francescana del Terz'Ordine. L'eroismo religioso non è privilegio, né privativa di nessun popolo e di nessuna razza. Certo la Chiesa cinese non ha nulla da invidiare a quale che sia altra Chiesa, emula negli eroismi dei suoi figli dei primi secoli di Roma.
Nella Cina dei mandarini del 1900 non era meno difficile professare in pubblico la propria fede di quello che lo fosse nella Roma dei Cesari. E poi da notarsi che tanto i seminaristi che i domestici avrebbero potuto eclissarsi, riparando in luogo sicuro, come fecero altri loro compagni, senza esser tacciati di debolezza o di tradimento: furono anzi consigliati a far ciò ripetutamente, ma essi, fedeli ai loro padri e pastori fino all'ultima ora, quando quelli furono condotti al carcere e dal carcere al patibolo, li seguirono, attratti dallo stesso miraggio di un sicuro martirio.
Anche sulla fronte dei cinque piccoli martiri di Tai-yuen-fu, primizie dei seminari cinesi, come sulla fronte degli umili nove domestici, santificatisi nell'esercizio oscuro, ignorato ma altamente meritorio dei loro doveri, la Chiesa pone l'aureola invidiata di santi, proponendo tutti, capi e gregari, alla nostra ammirazione e alla nostra imitazione.
Roberto Zavalloni



note

1) Nella Biblioteca Sanctorum si riscontrano diverse "voci " relative ai nostri martiri, dovute tutte a G.B. Praga, San Tommaso, Tchang Filippo, Tchang Giovanni, Tchang Francesco, Tchang Pietro, Tchao Giacomo, Tchen Simone, Tong Patrizio, Tang Giovanni, in Bíbl Sanct. Il (1968) 832 L2 (1969) 163-170. 623, 1389. Si veda anche: G. Ferrini, Sul tuo camnino. Un santo al giorno, Ed.
Francescane, Ravenna 1984, p.106, 108, I21,123.

2) Cfr.. G. Ricci, Barbarie e trionfi, pp. 707-779; ID, Pagine di eroisrno cristiano, Tip. Moderna, Lonigo 1925, pp. 193; ID, Auec les bosceurs cbinois, Ed "Echo des Grottes", Brive (Corrèze) 1949, pp.92; F.M.M., Glorie purpuree pp. 111- 118; C. Silvestri, La testimonianza del sangue, pp. 111-118; Acta Apost Sedis 39 (1947) 213 -221, 307-311.

3) Cfr.. C. Silvestri, La testimonianza del sangue, pp. 363-374; F.M.M., Glorie purpuree, pp. 113-115; G. Wang, Martirologio della Chiesa cattolica in Cina, Roma, 1968, pp.75-84.

4) Cfr. G. Ricci, Pagine di eroismo cristiano, p. 63.

5)  Cfr. C. Silvestri, La testimonianza del sangue, pp. 375-396; F.M.M., Glorie purpureee, pp. 115-118; G. Ferrini, Sul tuo cammino, 1984, pp. 74, 86, 88, 90,93,103,123.

  • Fonte: Roberto Zavalloni, Martiri della Cina nel 50° della beatificazione, Edizioni Porziuncola, Assisi (PG), 1996.
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documenti

Testo scritto nel 1946, in occasione della beatificazione (1946)

Per gli indigeni  finalmente, la via che li conduce al supremo onore della "testimonianza" è la generosa corrispondenza alla grazia della conversione, la pratica costante di una fede sinceramente abbracciata, pur tra le lotte e le difficoltà d'un ambiente pagano; fedeltà più alta ancora alla divina chiamata per i seminaristi, adempimento fedele dei loro umili doveri quotidiani per i domestici.
Tutti, dai vescovi ai domestici, hanno considerato la morte come attestato del "più grande amore"; hanno "combattuto il buon combattimento", riportando la vittoria promessa a chi coraggiosamente persevera sul campo sino alla fine. La corona imperitura che la Chiesa pone sul loro capo lo proclama. Non solo vittime, dunque, ma martiri: partecipanti cioè, sia pure con l'infinita distanza che separa il creatore dalla creatura, a quella volontarietà nell'immolazione che faceva dire al divin martire del Golgota: "Nessuno mi toglie la vita, ma spontaneamente la dò" (Gv 10,18).
Per questo tanta dovizia di messi e germinata nei solchi irrorati dal loro sangue.

Il problema del reclutamento e della formazione in paese di missione del clero indigeno è antico quanto ii cristianesimo, ed è di capitale importanza per la vita stessa delle chiese recentemente fondate. "Avendo, infatti, il sacerdote indigeno comune coi suoi connazionali l'origine, I'indole, la mentalità e le aspirazioni, è meravigliosamente adatto ad istillare poi loro cuori la fede" (Maximum illud), e non mancarono mai anime elette che furono trovate degne di venire iniziate alla vita ecclesiastica, ed anche di ascendere all'alta dignità del sacerdozio e dell'episcopato, facendosi ferventi apostoli dei loro connazionali.

Le varie persecuzioni mostrarono di quale l'importanza sia il clero locale, di quali eroismi sia capace. La storia della chiesa cinese presenta in proposito magnifiche e gloriose pagine durante la quasi ininterrotta persecuzione di oltre 200 anni; e vicino a noi, nel 1900, parecchi furono, tra il clero indigeno, i candidati al martirio, tra cui i cinque cari ed eroici giovanetti trucidati a Taiyren-fu insieme ai propri pastori dal tiranno Yùsien, e che la Chiesa propone all'ammirazione ed all'imitazione dei numerosi seminaristi indigeni, elevandoli agli onori degli altari col titolo di
beati (quest testo è stato scritto prima della loro canonizzazione, nel 2000):
Al sorgere del 1900 nello Chansi settentrionale vi erano due seminari. Quello maggiore, in Tai-yren-fu, contava una ventina di allievi del corso filosofico e teologico; mentre una trentina di piccoli aspiranti venivano educati all'ombra del convento francescano di Tong-eul-kou. Questi ultimi, lontani dalle città e in paese quasi interamente cristiano, potevano dirsi sicuri. Non così quelli di Taiyuen-fu: e temendo per la loro giovinezza e in vista di salvare la Chiesa dello Chansi, la notte del 21 giugno, all'inizio della persecuzione, il seminario fu sciolto e seminaristi consegnati ad un padre cinese perché li dirigesse in tutta fretta a Tong-eul-kou, o riparassero alla spicciolata nelle loro famiglie (2).

Ma il tiranno aveva prevenuto la fuga. Fino alla mezzanotte una pattuglia di soldati era stata posta alle porte della città con la consegna di impedire ogni tentativo di salvataggio. Così cinque seminaristi, giunti alle sentinelle della porta Han-si e riconosciuti dal loro abito talare vennero fermati e da un picchetto di soldati condotti al tribunale del sottoprefetto. Qui fu ad essi proposta ripetutamente l'apostasia, e al rifiuto fu loro passata al collo una pesante canga (strumento di pena cinese) e così in mezzo ai motteggi e agli insulti degli oziosi e della sbirraglia rimasero fino a
tarda notte.
Due compagni, fermati pure essi alla stessa porta, mentre si preparavano a lasciare la città, vennero a raggiungerli poco tempo dopo. Uno di questi ultimi così narra I'episodio: "Arrestato alla porta Han-si assieme al mio cugino Giovanni, uno dei futuri martiri, fummo condotti davanti al sottoprefetto Pie-tcià, che ci chiese chi e di dove eravamo. Conosciuto che eravamo cristiani e del seminario: "Volete apostatare, ci disse, come è ordine del vicerè?".
- "Noi non apostatiamo, rispondemmo risoluti. Allora ci passarono una fune al collo e fummo condotti in carcere, ma non sapevamo nulla dei nostri cinque compagni. Avevamo fame, e facemmo comprare due piccoli pani. Fummo chiamati e condotti tre volte davanti al mandarino, ed altrettante volte ci fu imposta I'apostasia. Al nostro costante rifiuto fummo sempre ricondotti al carcere. Finalmente verso le ore nove o dieci di notte ci aprirono la porta della prigione, e assieme agli altri nostri compagni fummo lasciati liberi di tornare alla chiesa" (Summ., p. 99).
I sette piccoli confessori, dopo una tale avventura, non vollero più separarsi dai loro pastori. Alle proposte di fuga, fatte ripetutamente dai mandarini, risposero un no secco e reciso; ed agli inviti paterni dei vescovi di mettersi in salvo, scongiurarono di esser messi a parte della loro sorte e del loro martirio, se a Dio fosse piaciuto. Con tali ammirabili disposizioni andarono tranquilli al carcere e dal carcere al supplizio.
I fortunati, chiamati a dare la "testimonianza del sangue", furono però soltanto cinque. Due, al momento di stendere la mano per cogliere la sperata palma, vennero allontanati. La Provvidenza
disponeva, forse, così perché i cinque avessero dei testimoni autentici del loro coraggio e del loro trionfo (3).

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