sabato 30 maggio 2020

- S. GIUSEPPE CAFASSO PERLA DEL CLERO - con catechesi di Papa Benedetto XVI


23 giugno
S. GIUSEPPE CAFASSO

sacerdote
del III Ordine di S. Francesco
francescano secolare





Castelnuovo d’Asti, 15 gennaio 1811 - Torino, 23 giugno 1860



Non ha fondato né costruito, ma ha allevato fondatori e costruttori. Dalla cattedra e dal confessionale ha fonnato maestri di fede e uomini e donne di Dio per la Chiesa del suo tempo e anche di dopo. Se non era in cattedra o in chiesa, lo si poteva trovare nelle carceri, tra i detenuti. Giuseppe Cafasso, nato a Castelnuovo d'Asti nel 1811 (quattro anni prima di Giovanni Bosco), fa le scuole pubbliche al suo paese e poi va al seminario di Chieri (Torino).
Tra i compagni non spicca per gesti speciali, di piccola statura, è già un po' curvo per una deviazione della colonna vertebrale. Difficile prevedergli un futuro di grande predicatore, perché il suo parlare è sommesso. Ma è prete già a ventidue anni, e con un solido ascendente sui compagni. Entra nel Convitto ecclesiastico torinese del teologo Luigi Guala, dove i neosacerdoti approfondiscono  studi di teologia e di morale, e intanto fanno tirocinio nel ministero, lavorando in ospedali, riformatori, carceri, ospizi. Entrato come allievo, Don Cafasso non va più via, diventando insegnante di morale, direttore spirituale e infine rettore. Intanto lo chiamano a predicare. Sulla linea di Alfonso de' Liguori, ma con un suo preciso accento personale, insegna la morale, combattendo un rigorismo giansenistico ancora diffuso. E ai preti insegna come presentare la fede con serenità e fiducia, senza transigere sul dogma, ma offrendo comprensione agli incerti. ll giovane Don Bosco gli chiede consiglio: vorrebbe andare missionario.. . Sommesso e chiaro, Cafasso dice a Don Bosco che la sua missione è Torino. È la capitale piemontese, con tanta gioventù immigrata e analfabeta, sfruttata da molti. E lo aiuta a cominciare, trova posto per i suoi primi ragazzi, lo difende dagli attacchi di chi non capisce.
Gli chiedono consiglio ex allievi diventati vescovi e cardinali. Alcuni notabili  propongono di candidarsi alla Camera. Risposta: “Ma nel dì del Giudizio il Signore mi chiederà se avrò fatto il buon prete, non il deputato”. È popolare e amato in Torino per l'opera tra i carcerati, che non si limita a visite, ma comprende l'aiuto alle famiglie, il soccorso ai dimessi. E include la condivisione delle ore estreme con i condannati a morte. Papa Pio lo canonizzerà nel 1947, proclamandolo patrono dei carcerati.



Martirologio Romano: A Torino, san Giuseppe Cafasso, sacerdote, che si dedicò alla formazione spirituale e culturale dei futuri sacerdoti e a riconciliare a Dio i poveri carcerati e i condannati a morte.



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SAN GIUSEPPE CAFASSO
PERLA DEL CLERO ITALIANO

Il presente profilo riprende la catechesi di Benedetto XVI
Udienza Generale, 30 giugno 2010


Papa Pio XI, il 1° novembre 1924, approvando i miracoli per la canonizzazione di San Giovanni Maria Vianney e pubblicando il decreto di autorizzazione per la beatificazione del Cafasso, accostò queste due figure di sacerdoti con le seguenti parole: “Non senza una speciale e benefica disposizione della Divina Bontà abbiamo assistito a questo sorgere sull'orizzonte della Chiesa cattolica di nuovi astri, il parroco d'Ars e il venerabile servo di Dio Giuseppe Cafasso. Proprio queste due belle, care, provvidamente opportune figure ci si dovevano oggi presentare; piccola e umile, povera e semplice, ma altrettanto gloriosa la figura del parroco d'Ars, e l'altra bella, grande, complessa, ricca figura di sacerdote, maestro e formatore di sacerdoti, il venerabile Giuseppe Cafasso”.

Si tratta di circostanze che ci offrono l'occasione per conoscere il messaggio, vivo e attuale, che emerge dalla vita di questo santo. Egli non fu parroco come il curato d'Ars, ma fu soprattutto formatore di parroci e preti diocesani, anzi di preti santi, tra i quali San Giovanni Bosco. Non fondò, come gli altri santi sacerdoti dell'Ottocento piemontese, istituti religiosi, perche la sua “fondazione” fu la “scuola di vita e di santità sacerdotale” che realizzò, con l'esempio e l'insegnamento, nel “Convitto Ecclesiastico di San Francesco d'Assisi” a Torino.
 
Giuseppe Cafasso nasce a Castelnuovo d'Asti, lo stesso paese di San Giovanni Bosco, il 15 gennaio 1811. È il terzo di quattro figli. L'ultima, la sorella Marianna, sarà la mamma del beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Nasce nel Piemonte ottocentesco caratterizzato da gravi problemi sociali, ma anche da tanti santi che s”impegnavano a porvi rimedio. Essi erano legati tra loro da un amore totale a Cristo e da una profonda carità verso i più poveri: la grazia del Signore sa diffondere e moltiplicare i semi di santità! 
 
Il Cafasso compì gli studi secondari e il biennio di filosofia nel collegio di Chieri e, nel 1850, passò al Seminario teologico, dove nel 1835 venne ordinato sacerdote. Quattro mesi più tardi fece ingresso nel luogo che per lui resterà la fondamentale e unica “tappa” della sua vita sacerdotale: il “Convitto Ecclesiastico di San Francesco d'Assisi” a Torino. Entrato per perfezionarsi nella pastorale, qui egli mise a frutto le proprie doti di direttore spirituale e un grande spirito di carità.

Il Convitto, infatti, non era soltanto una scuola di teologia morale dove i giovani preti, provenienti soprattutto dalla campagna, imparavano, a confessare e a predicare, ma era anche una vera e propria scuola di vita sacerdotale, dove i presbiteri si formavano nella spiritualità di Sant'Ignazio di Loyola e nella teologia morale e pastorale del grande vescovo Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Il tipo di prete che il Cafasso incontrò al Convitto e che egli stesso contribuì a rafforzare - soprattutto come rettore - era quello del vero pastore con una ricca vita interiore e un profondo zelo nella cura pastorale: fedele alla preghiera, impegnato nella predicazione, nella catechesi, dedito alla celebrazione dell'Eucaristia e al ministero della Confessione, secondo il modello incarnato da San Carlo Borromeo, da San Francesco di Sales e promosso dal Concilio di Trento. Una felice espressione di San Giovanni Bosco sintetizza il senso del lavoro educativo in quella Comunità: “Al Convitto si imparava a essere preti”.
 
San Giuseppe Cafasso cercò di realizzare questo modello nella formazione dei giovani sacerdoti affinché, a loro volta, diventassero formatori di altri preti, religiosi e laici, secondo una speciale ed efficace catena. Dalla sua cattedra di teologia morale educava a essere buoni confessori e direttori spirituali, preoccupati del vero bene spirituale della persona, animati da grande equilibrio nel far sentire la misericordia di Dio e, allo stesso tempo, un acuto e vivo senso del peccato. 
 
 
 
Tre erano le virtù principali del Cafasso docente, come ricorda San Giovanni Bosco: calma, accortezza e prudenza. Per lui la verifica dell”insegnamento trasmesso era costituita dal ministero della confessione, alla quale egli stesso dedicava molte ore della giornata. A lui accorrevano vescovi, sacerdoti, religiosi, laici eminenti e gente semplice: a tutti sapeva offrire il tempo necessario. Di molti, poi, che divennero santi e fondatori d'istituti religiosi, egli fu sapiente consigliere spirituale. Il suo insegnamento non era mai astratto, basato soltanto sui libri che si utilizzavano in quel tempo, ma nasceva dall'esperienza viva della misericordia di Dio e dalla profonda conoscenza dell'animo umano acquisita nel lungo tempo trascorso in confessionale e nella direzione spiritua- le; la sua era una vera scuola di vita sacerdotale.
 
Il suo segreto era semplice: essere un uomo di Dio; fare, nelle piccole azioni quotidiane, “quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime”. Amava in modo totale il Signore, era animato da una fede ben radicata, sostenuto da una profonda e prolungata preghiera, viveva una sincera carità verso tutti. Conosceva la teologia morale, ma conosceva altrettanto approfonditamente le situazioni e il cuore della gente, del cui bene si faceva carico come il buon Pastore. Quanti avevano la grazia di stargli vicino ne erano trasformati in altrettanti buoni pastori e in validi confessori. Indicava con chiarezza a tutti i sacerdoti la santità da raggiungere proprio nel ministero pastorale. Il Beato don Clemente Marchisio, fondatore delle Figlie di San Giuseppe, affermava: “Entrai in Convitto essendo un gran birichino e un capo sventato, senza sapere cosa volesse dire essere prete, e ne uscii affatto diverso, pienamente compreso della dignità del sacerdote”. Quanti sacerdoti furono da lui formati nel Convitto e poi seguiti spiritualmente!
 
Tra questi - come ho già detto - emerge San Giovanni Bosco, che lo ebbe come direttore spirituale per ben 25 anni, dal 1855 al 1860: prima come chierico, poi come prete e infine come fondatore. Tut- te le scelte fondamentali della vita di San Giovanni Bosco ebbero come consigliere e guida San Giuseppe Cafasso, ma in un modo ben preciso: il Cafasso non cercò mai di formare in don Bosco un discepolo “a propria immagine e somiglianza” e don Bosco non copio il Cafasso; lo imitò certo nelle virtù umane e sacerdotali - definendolo “modello di vita sacerdotale” -, ma secondo le proprie personali attitudini e la propria peculiare vocazione; un segno della saggezza del maestro spirituale e dell'intelligenza del discepolo: il primo non si impose sul secondo, ma lo rispetto nella sua personalità e lo aiutò a leggere quale fosse la volontà di Dio su di lui. Con semplicità e profondità, il nostro santo affermava: “Tutta la santità, la perfezione e il profitto di una persona sta nel fare perfettamente la volonta di Dio [...]. Felici noi se giungessimo a versare così il nostro cuore dentro quello di Dio, unire talmente i nostri desideri, la nostra volontà alla sua da formare ed un cuore ed una volontà sola: volere quello che Dio vuole, volerlo in quel modo, in quel tempo, in quelle circostanze che vuole Lui e volere tutto ciò non per altro se non perché così vuole Iddio”.
Nelle carceri
 
Ma un altro elemento caratterizza il ministero del nostro santo: l'attenzione agli ultimi, in particolare ai carcerati, che nella Torino ottocentesca vivevano in luoghi disumani e disumanizzanti. Anche in questo delicato servizio, svolto per più di vent'anni, egli fu sempre il buon pastore, comprensivo e compassionevole: qualità percepita dai detenuti, che finivano per essere conquistati da quell”amore sincero la cui origine era Dio stesso. La semplice presenza del Cafasso faceva del bene: rasserenava, toccava i cuori induriti dalle vicende della vita e soprattutto illuminava e scuoteva le coscienze indifferenti. 
 
 
Nei primi tempi del suo ministero in mezzo ai carcerati, egli ricorreva spesso alle grandi predicazioni
che arrivavano a coinvolgere quasi tutta la popolazione carceraria. Con il passare del tempo, privilegio la catechesi spicciola, fatta nei colloqui e negli incontri personali: rispettoso delle vicende
di ciascuno, affrontava i grandi temi della vita cristiana, parlando della confidenza in Dio, dell”adesione alla Sua volontà, dell'utilità della preghiera e dei sacramenti, il cui punto di arrivo è la Confessione, l'incontro con Dio fattosi per noi misericordia infinita. I condannati a morte furono oggetto di specialissime cure umane e spirituali. Egli accompagno al patibolo, dopo averli confessati e aver amministrato loro l”Eucaristia, 57 condannati a morte. Li accompagnava con profondo amore fino all'ultimo respiro della loro esistenza terrena.

Epilogo
 
Morì il 23 giugno 1860, dopo una vita offerta interamente al Signore e consumata per il prossimo. Il Venerabile Servo di Dio Papa Pio XII, il 9 aprile 1948, lo proclamò patrono delle carceri italiane e, con l'Esortazione Apostolica Menti nostrae, il 23 settembre 1950, lo propose come modello ai sacerdoti impegnati nella Confessione e nella direzione spirituale.




PREGHIERA

San Giuseppe Cafasso sia un richiamo per tutti ad intensificare il cammino verso la perfezione della vita cristiana, la santità; in particolare, ricordi ai sacerdoti l’importanza di dedicare tempo al Sacramento della Riconciliazione e alla direzione spirituale, e a tutti l’attenzione che dobbiamo avere verso i più bisognosi. Ci aiuti l’intercessione della Beata Vergine Maria, di cui san Giuseppe Cafasso era devotissimo e che chiamava “la nostra cara Madre, la nostra consolazione, la nostra speranza”.
Benedetto XVI



 

Tu che fosti apostolo dei carcerati e dei condannati a morte
formatore di sacerdoti e consolatore della povera gente,
fa' che coloro che conducono una vita di miseria
possano sentire l'amore di Dio vicino a loro.
Ti aflidiamo soprattutto coloro
che hanno carcere del peccato nel cuore
o che sono reclusi a causa dei loro errori;
intercedi per tutti il pentimento sincero
e la potenza della misericordia di Dio.
Intercedi per noi il dono di una fede sincera,
di una speranza viva, di una carita fedele.
Ottienici dal Signore,
per la tua potente intercessione,
le grazie di cui la nostra vita necessita.
Amen.


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Bibliografia: voce in I Santi nella Storia, mese di giugno, Periodici S. Paolo S.r.l. Milano, 2006; Catechesi di Papa Benedetto - Udienza generale del 30 giugno 2010; Don Pierluigi Cameroni, Come stelle nel cielo, ed. Velar, Gorle (BG), 2015.