domenica 22 novembre 2015

Beato Federico da Berga e XXV compagni nel martirio. Breve profilo dei martiri cappuccini beatificati a Barcellona.

Il 21 novembre 2015 nella cattedrale di Barcellona il Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, su mandato del Santo Padre Francesco, ha presieduto la celebrazione di beatificazione di Frederic de Berga e XXV Compagni, Sacerdoti e Fratelli Laici, uccisi in odio alla fede tra il giugno 1936 e il febbraio 1937.
I nuovi beati - comunica la Postulazione generale OFM Capp. - si aggiungono alla già lunga schiera dei frati cappuccini uccisi in Spagna nella prima parte del XX secolo durante la persecuzione alla Chiesa. Tra il 20 e il 24 luglio del 1936 i nove conventi della Provincia di Catalogna furono abbandonati, saccheggiati e incendiati. In tutti i Servi di Dio risplende chiara la testimonianza della loro condotta morale e di fede nel continuare, come potevano nei loro rifugi, la vita di preghiera e la disponibilità alla morte a causa della loro fede. Con franchezza al momento dell'arresto dichiararono la loro identità e il loro stato religioso pronti ad offrire la loro vita pur di non rinunciare a Cristo e con cuore pronto a compiere la volontà di Dio si unirono all'Agnello senza macchia sulla via della croce.




La parola del Papa

Papa Francesco li ha ricordati all'Angelus del 22 novembre, festa di Cristo Re, affidando “alla loro intercessione i tanti nostri fratelli e sorelle che purtroppo ancora oggi, in diverse parti del mondo, sono perseguitati a causa della fede in Cristo”. Nella meditazione dell'Angelus, il Papa si è soffermato su Gesù che a Pilato si presenta come Re, ma non come sovrano di questo mondo.

La logica mondana e la logica evangelica
Si tratta della contrapposizione “tra due logiche”, quella mondana e quella evangelica: “La logica mondana poggia sull’ambizione e sulla competizione, combatte con le armi della paura, del ricatto e della manipolazione delle coscienze. La logica del Vangelo, cioè la logica di Gesù, invece si esprime nell’umiltà e nella gratuità, si afferma silenziosamente ma efficacemente con la forza della verità. I regni di questo mondo a volte si reggono su prepotenze, rivalità, oppressioni; il regno di Cristo è un 'regno di giustizia, di amore e di pace'”.

Per il cristiano la vera potenza è l’amore di Gesù.

Gesù, prosegue, “si è rivelato re nell’evento della Croce! Chi guarda la Croce di Cristo non può non vedere la sorprendente gratuità dell’amore”. Quello che sembra un fallimento, ha osservato a braccio, è in realtà il fallimento “del peccato”, delle “ambizioni umane”. Questo, ha detto, “è il trionfo della Croce”: “Parlare di potenza e di forza, per il cristiano, significa fare riferimento alla potenza della Croce e alla forza dell’amore di Gesù: un amore che rimane saldo e integro, anche di fronte al rifiuto, e che appare come il compimento di una vita spesa nella totale offerta di sé in favore dell’umanità.

Cristo è un re che serve per amore, non un re che domina

Se Gesù fosse sceso dalla croce, evidenzia, “avrebbe ceduto alla tentazione del principe di questo mondo; invece Lui non può salvare sé stesso proprio per poter salvare gli altri”.

Fonte : cfr. Vaticannews


 

Contesto storico

Comunisti, franchisti, monarchici e anarchici (questi ultimi soprattutto in Catalogna), furono i protagonisti di una guerra civile, dove ogni possibilità di agire in maniera democratica era soffocata sul nascere.
La vittoria delle sinistre nel febbraio 1936 permise ai rivoluzionari di prendere il potere. Dal canto suo il franchismo virò verso il modello fascista. Il paese era ormai spaccato in due grossi blocchi. In Catalogna vi erano due forze politiche (la Sinistra Repubblicana Catalana e la Lliga Catalana) che tentarono di lavorare congiuntamente, distanziandosi dai radicali. Per quanto la situazione sembrasse pacifica, gli anarchici avevano una grossa fetta di consensi e, alle elezioni del ‘36, parteggiarono per le sinistre. Il potere non era più del Governo della Repubblica ma era in mano ad un «Comitato di Milizie Antifasciste» sotto comando anarchico.
Già dal XIX secolo in Spagna si era soliti terminare le rivolte con i roghi delle chiese. La cosiddetta «settimana tragica» del 1909 era ancora nella memoria della gente: a Barcellona il convento cappuccino de L’Ajuda fu letteralmente raso al suolo.
La provincia catalana dei Cappuccini nel ‘36 (tre giorni prima della guerra) aveva deciso misure preventive: nascondere gli archivi e trovare luoghi che avrebbero ospitato i frati in pericolo. Ma progettarono con il convincimento che tutto si dovesse svolgere in poco tempo come nel 1909: nessuno pensava ad una guerra civile di 3 anni. Di fatto le norme di sicurezza non erano sufficienti. La rivoluzione si dimostrò non solo duratura ma anche sistematicamente organizzata. La persecuzione e l’uccisione degli ecclesiastici continuò fino al maggio 1937 ed ha lasciato la Chiesa in situazione di clandestinità fino alla fine della guerra. Tutte le previsioni furono superate dalla terribile realtà dei fatti: in pochi giorni qualsiasi espressione pubblica della religione, in Catalogna, fu soppressa. Le chiese furono chiuse e bruciate. L’identificazione di chiunque come religioso o cattolico noto significava la morte senza processo.

Convento cappuccino
La popolazione stessa era divisa e le tensioni, le paure, portavano i cittadini a denunciare ai rivoluzionari qualsiasi individuo sospetto. I miliziani entravano nelle case per cercare sacerdoti nascosti o anche solo per eliminare immagini e segni religiosi che venivano bruciati. Dalla notte al giorno i frati diventarono proscritti, minacciati, latitanti, delinquenti.
Il 20 luglio i cappuccini dovettero abbandonare i tre conventi in Barcellona (Sarrià, Pompeya e L’Ajuda) e successivamente anche tutti gli altri cinque conventi catalani, tranne Maiorca rimasta in territorio franchista. I frati cappuccini che furono uccisi durante la guerra civile in Catalogna ammontano ad un terzo dei frati presenti all’epoca nella provincia, ma il totale dei martiri catalani ammonta a diverse migliaia.
Fra Frederic da Berga, 59 anni; Fra Tarsici da Miralcamp, 24 anni; Fra Eloi da Bianya, 62 anni; Fra Marçal da Vilafranca, 19 anni; Fra Angel da Ferreries, 31 anni; Fra Eudald da Igualada, 18 anni, sono solo alcuni dei 36 cappuccini martiri della guerra civile spagnola che ha avuto luogo tra il 1936 (quando l’esercito franchista si ribellò contro il Governo della Repubblica per evitare che lo stato diventasse comunista ed interrompere i processi di autonomia di Catalogna e Paese Basco) e il 1939 (quando Francisco Franco annunciò la fine delle ostilità).
Fra Gianluca D'Achille, OFM Capp.







Beato Federico da Berga e XXV compagni nel martirio

Il ministro generale dei Frati minori cappuccini Fra Mauro Jöhri ha inviato una circolare ai suoi frati (vedi versione integrale) per far conoscere i nuovi beati, con una domanda, che anche ognuno di noi può rivolgersi ed infine un'estortazione da tenere a cuore.

La Provincia di Catalogna tenne il Capitolo provinciale (dell'Ordine OFM Capp., nrd) dal 13 al 16 luglio 1936. Già durante quel Capitolo si parlò della possibilità  che scoppiasse un qualche tipo di rivolta, con incendi di chiese e assassinii di sacerdoti, come era già avvenuto in altri luoghi. Si cercò di mettere in salvo presso amici le suppellettili più preziose  e gli arredi sacri. Ogni convento, inoltre, aveva una lista di persone vicine ai frati, disposte ad accoglierli. Cosicché, quando iniziò la persecuzione, subito dopo lo scoppio della Guerra Civile, i frati si dispersero e furono accolti dai familiari e dagli amici. I luoghi dove trovarono rifugio i frati potevano dare sicurezza per alcuni giorni o al massimo per qualche settimana, così si pensava potesse durate le turbolenza, non certo per i due anni e mezzo, tanto doveva durate la clandestinità e la persecuzione e la caccia a chi era prete o religioso.

Non furono le autorità della Repubblica che perseguitarono i religiosi. In quei primi mesi di guerra, la retroguardia repubblicana rimase sotto il potere dei comitati rivoluzionari anarchici,  che si fecero padroni della strada senza che alcuno glielo impedisse. I nostri frati, in genere, avevano sempre mantenuto un atteggiamento dialogante con la Repubblica. Inoltre, in Catalogna erano particolarmente amati per la loro sintonia con “la Renaixença”, il movimento di riscoperta e di rivalutazione dell’identità catalana della fine del XIX secolo e degli inizi del XX. Tuttavia proprio questo costituì un’aggravante per alcuni rivoluzionari, i quali consideravano la stessa Repubblica e l’amore alla propria terra e cultura come caratteristiche borghesi che dovevano essere sradicate come la religione.

La persecuzione non fu semplicemente opera di persone non controllate. C’erano istruzioni ben precise per ricercare e sopprimere  i religiosi. Si fecero perquisizioni in molte case private. Alcuni di questi martiri dovettero fuggire da una casa all’altra, senza poter trovare un rifugio sicuro. Nel caso di fr. Martín de Barcelona, storico che aveva studiato a Lovanio e autore di studi su san Francesco e Raimondo Lullo, i rivoluzionari catturarono tutta la famiglia e, sotto minaccia di morte, ottennero che i familiari rivelassero dove si trovava. Altri, come fr. Vicenç de Besalú, dovettero dormire all’aperto per molti giorni.

 Ecco l’elenco dei frati cappuccini di cui è stato riconosciuto il martirio e saranno beatificati:

P. Frederic de Berga (Martí Tarrés Puigpelat)
P. Modest de Mieres (Joan Bover Teixidó)
P. Zacaries de Llorenç del Penedés (Sebastiá Sonet Romeu)
P. Remigi del Papiol (Esteve Santacana Armengol)
P. Anselm d'Olot (Laurentí Basil Matas)
P. Benigne de Canet de Mar (Miquel Sagré Fornaguera)
P. Josep de Calella de la Costa (Joan Vila Colomé)
P. Martí de Barcelona (Jaume Boguñá Casanova)
P. Rafael Maria de Mataró (Francesc de Paula Soteras Culla)
P. Agustí de Montclar de Donzell (Josep Alsina Casas)
P. Doroteu de Vilalba dels Arcs (Jordi Sampé Tarragó)
P. Alexandre de Barcelona (Jaume Nájera Gherna)
P. Tarsici de Miralcamp (Josep Vilalta Saumell)
P. Vincenç de Besalú (Julià Gebrat Marcé)
P. Timoteu de Palafrugell (Jesús Miquel Girbau)
Fr. Miquel de Bianya (Pelai Ayats Vergés)
Fr. Jordi de Santa Pau (Manuel Collellmir Senties)
Fr. Bonaventura de Arroyo Cerezo (Tomás Díaz Díaz)
Fr. Marçal del Penedès (Carles Canyes Santacana)
Fr. Eudald d'Igualada (Lluís Estruch Vives). Él más joven, tenía sólo dieciocho años
Fr. Paciá Maria de Barcelona (Francesc Maria Colomer Presas)
Fr. Ángel de Ferreries (Josep Coll Martí)
Fr. Cebrià de Terrassa (Ramon Gros Ballvé)
Fr. Eloi de Bianya (Joan Ayats Plantalech
Fr. Prudenci de Pomar de Cinca (Gregori Charlez Ribera)
Fr. Félix de Tortosa (Joan Bonavida Dellà)

Vediamo di conoscere alcune di questi frati più da vicino

Fr. Frederic de Berga, che è il primo nella lista, era stato guardiano, missionario in America Centrale e Provinciale per un triennio. Il Vescovo di Vic aveva detto di lui che era “il predicatore più apostolico” che c’era nella sua diocesi. All’inizio della rivoluzione era guardiano nel convento di Arenys. Dopo essersi nascosto alcuni giorni sui monti, arrivò a Barcellona e partecipò attivamente alla rete clandestina della Chiesa che si stava formando. Poco avanti la morte, nel febbraio 1937, calcolava di aver distribuito, sempre con pericolo di vita, circa 1200 comunioni. Celebrava l’Eucaristica in case private, dove si riunivano piccoli gruppi di fedeli, facendo uso del permesso dato dalla Santa Sede di celebrare senza ornamenti né vasi sacri. Fu scoperto durante una perquisizione nella casa dove era stato accolto.

Fr. Eloy de Bianya è forse la figura più amata di tutto il gruppo dei martiri. Era fratello portinaio del convento di Sarriá. Il padre di un frate attuale, che lo conobbe, aveva detto di lui che era “l’uomo che mi ha parlato meno e mi ha comunicato più”. Fu accolto nella casa del signor Maurici Serrahima, vicino al convento, che nelle sue memorie ha lasciato questa bellissima descrizione: “Molto si è parlato di fr. Eloy, e con ragione. (…) Aveva sul volto un sorriso buono e allo stesso tempo dolcemente ironico. (…) Era una figura di uomo piacevole a vedersi e da tenere vicino. Le simpatie che aveva svegliato alla portineria del convento erano immense, e tutti lo conoscevano. Sorrideva e sapeva fare uno scherzo quando era conveniente. Ma in lui ci doveva essere una vita interiore molto intensa, dalla quale doveva provenire l’equilibrio in tutto.  Non disturbava e non faceva rumore. Non parlava se non gli parlavano. E quando parlava, lo faceva con una soavità che desiderava essere solo discreta e spesso risultava impressionante. Non una parola di lamento né di protesta. Durante la sua permanenza in casa nostra, mai parlò di vendetta, anzi neppure di fare giustizia. ‘Questi uomini (diceva, riferendosi a coloro che si erano gettati nella pazzia degli incendi e degli assassinii) sono buona gente. Hanno sofferto molto, sono passati attraverso strettezze e umiliazioni. Sono sicuro che sono stati fedeli alla moglie, hanno lottato per la loro famiglia. Quello che stanno facendo ora è la prima scelleratezza che fanno. E lo fanno perché sono convinti che così miglioreranno il destino dei poveri. Li incontreremo in cielo…’. Non assicuro che abbia detto alla lettera queste parole. Ma con certezza so che questo era ciò che esse significavano quando mi parlava”. Fr. Eloy fu arrestato nella stazione ferroviaria insieme a tre altri frati quando cercava di andare al suo paese natale.

Fra i giovani studenti assassinati si può mettere in evidenza fr Marçal de Villafranca, il più giovane di quattro fratelli frati. Aveva diciannove anni. Dopo due perquisizioni dei rivoluzionari che stavano cercando i suoi fratelli maggiori, la famiglia decise di trasferirsi in un altro quartiere, ma una vicina li seguì e li denunciò al comitato di zona e lo arrestarono. Salutando la mamma, disse: “Mamma, non soffrire per quello che mi può accadere. La mia coscienza è in pace con Dio”.

Fr. Modest de Mieres e fr. Ángel de Ferrieres erano un anziano teologo e un giovane frate laico che si rifugiarono nella casa di un altro frate, vicino al convento di Sarriá. La casa fu sottoposta a varie perquisizioni, durante le quali essi si fecero passare come parenti della famiglia. Fr. Ángel avrebbe potuto scappare, ma non volle abbandonare fr. Modest e un altro frate, infermo, allettato. Fr. Modest compose una preghiera che insieme recitavano tutti i giorni: “In questo momento e certamente nell’ora della morte se non mi trovassi in circostanze adatte, con l’aiuto della divina grazia che umilmente ho fiducia che mi concederete, accetto, o mio Dio, volontariamente, con tutto il piacere, umilmente e di tutto cuore, quella morte che vorrete inviarmi. Qualunque essa sia, unisco la mia morte alla morte santissima del nostro Signor Gesù Cristo, che in questo momento si sta rinnovando nel santo sacrificio della Messa, e così unita ve la offro o mio Dio, supplicandovi umilmente che vi degniate di accettarla benignamente, nonostante la mia bassezza e miseria, in relazione alla morte del nostro Signor Gesù Cristo, per la remissione di tutte le mie colpe e peccati, e delle colpe e peccati di tutti gli uomini”. Finalmente, denunciati da alcuni vicini, furono arrestati e assassinati nelle vicinanze del convento.

Alcuni dei nuovi martiri furono missionari: fr. Anselm d’Olot e fr. Benigne de Canet erano stati nel Caquetá (Colombia); fr. Zacaries de Llorenç terminò i suoi studi a Pasto (Colombia) e fu ordinato sacerdote a Bogotà; fr. Remigi de Papiol fu a Manila (Filippine), nel vicariato di Bluefields (Nicaragua) e in Costarica; e fr. Frederic de Berga fu in Costarica.

 Dei 26 che in questa occasione sono beatificati, 17 morirono fra luglio e agosto. Poi, la persecuzione cominciò a perdere d’intensità. L’ultimo a morire fu fr. Frederic de Berga il 16 febbraio 1937. Nel maggio 1937 il governo della Repubblica prese il controllo della situazione di Barcellona e praticamente gli assassinii cessarono. Nonostante, la Chiesa continuò a vivere nella clandestinità fino alla fine della guerra nel 1939.

Il ruolo di famigliari e amici

 Insieme all’eroismo dei martiri, è da sottolineare quello delle famiglie che accolsero, loro e altri che sopravvissero alla persecuzione, nelle loro case, con il rischio della propria vita. Ci furono casi di persone assassinate per avere accolto nelle loro case un sacerdote o un religioso, tuttavia non fra quelle che accolsero i nostri frati. In alcuni casi certamente furono arrestati per alcune ore o giorni membri delle famiglie che avevano accolto, ma alla fine furono sempre liberati. In un primo momento, queste famiglie furono di persone molto vicine ai conventi. Ma in seguito si dovette ricorrere ad altri amici o ad amici di amici, i quali pure generosamente si prestarono, per amore ai frati e alla Chiesa, a dare accoglienza, coscienti anche del rischio che ciò comportava. A volte nelle famiglie s’insegnò ai bambini della casa a chiamare il frate “nonno” o “zio”  ogni volta che entrava qualche sconosciuto. Ci fu un caso nel quale un dirigente anarchico prese sotto la sua protezione un frate che era stato arrestato per il semplice fatto di stare pregando discretamente il rosario in un luogo pubblico.

Disposti a donarsi fino in fondo

Questi nostri fratelli erano coscienti di ciò che poteva loro capitare. Cercarono protezione qua e là, memori di quanto afferma Gesù nel Vangelo di Matteo (10, 23): “Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un'altra”, ma quando il momento della prova si presentò in modo serio, essi non si tirarono indietro e diedero la loro testimonianza suprema. Mi chiedo se noi oggi come frati cappuccini abbiamo la stessa consapevolezza e disponibilità a dare, se necessario, la nostra vita per Cristo dovesse presentarsi quello che Hans Urs von Balthasar chiamava: “Il caso serio”?

Mi pare giusto porci questa domanda, perché corriamo tutti quanti il pericolo denunciato da San Francesco nella VI Ammonizione:


Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore, che per salvare le sue pecore sostenne la passione e la croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e nella persecuzione, nella vergogna e nella fame, nell’infermità e nella tentazione  e in altre simili cose, e per questo hanno ricevuto dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi, servi di Dio, che i santi hanno compiuto le opere, e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il raccontarle e predicarle.”