domenica 22 marzo 2020

B. DEMETRIO D'ALBANIA, TERZIARIO FRANCESCANO ALBANESE DEL XV SECOLO. da soldato nelle milizie di skanderberg a eremita del monteluco di spoleto


10 Ottobre

Beato DEMETRIO albanese  
terziario francescano, eremita del Monteluco
(+ 1491)


Dall'Albania, dove era nato, giunse in Italia nel 1441 fermandosi a Spoleto. Qui vestì l'abito del Terz'Ordine, rimanendo sotto l'obbedienza del b. Gregorio di Spoleto, anch'egli terziario francescano ed eremita, in uno dei dodici romitaggi di Monte Luco, per cinquant'anni, dedicandosi alle penitenze e all'orazione. Morì il 10 ott. 1491. Il suo corpo fu sepolto nella chiesa del convento di S. Paolo dei Frati Minori Osservanti, fuori di Spoleto, non lungi da Monte Luco. La sua memoria viene fatta il 10 ottobre. (Antonio Blasucci - BSS)


Martirologio Francescano: Nell'eremo di Monte Luco, presso Spoleto, nell'Umbria, il beato Domenico Albanese, Confessore Terziario, il quale macerandosi con digiuni e con discipline ed occupandosi sempre nell'orazione, risplendette per ammirevole santità di vita. Il suo corpo fu sepolto nel convento di S. Paolo (1491).



Biografia

Demetrio venne dall'Albania in Italia nel 1441. Si fermò a Spoleto, quasi bloccato dal fascino che irradiava quella tebaide che vigilava orante sulla città a proteggendola dalle razzie delle Tenebre.
Visitò uno per uno quegli eremi, si intrattenne con ciascuno di quei solitari e alla fine scelse di farsi discepolo del b. Gregorio, quello del Santo Chiodo. Rimase con lui per un periodo di prova, poi, con la sua benedizione, si ritirò a vivere da solo in quell'eremo che s'era reso libero e che era situato sulla falda del Monteluco, mantenendosi egli ugualmente sotto la direzione del b. Gregorio.
Poiché il suo eremo non sorgeva lontano dalla chiesa di s. Paolo, tenuta con relativo convento dai Francescani dal 1461, alla morte della sua guida, il b.Gregorio, entrò in contatto con il convento di S. Paolo e si fece Terziario francescano, pur rimanendo a condurre vita eremitica.
Poiché era gradito a Dio, subì molte ostilità da parte del demonio che lo assaliva soprattutto di notte poiché le tenebre, anche quelle fisiche, si fanno suo veicolo privilegiato. Una notte, sentendosi più di ogni altra volta oppresso dall'inquietudine prodotta dalle forze dell'avversario che lo insidiava e lo assaliva con aggressione crescente, con uno sforzo supremo si lanciò con supplica alla Madonna che, toccata dal suo grido, gli apparve in un grande splendore.
Al soffocante turbamento di un istante prima, subentrò una beatitudine da divino annientamento. In modo meno spettacolare, ma sempre determinante, altre volte fece esperienza del diretta dell'intervento del cielo.
Visse quasi cinquant'anni santamente la vita severa dell'eremita. Quel servo buono e fedele passò alla gloria del suo Signore nel 1491. Il suo corpo venne portato nella chiesa di S. Paolo (fuori Spoleto) e lì sepolto.
Quel convento ebbe per secoli una pittura con la scritta, b. Demetrio.
Teresa Bertoncello

A tutt'oggi vi sono nella diocesi di Spoleto-Norcia alcuni eremiti. L'autrice di questo ritratto biografico  è Teresa Bertoncello eremita, come il beato Demetrio, del sacro Monteluco di Spoleto, ed è tratto dal volume "I Cultori dell'assoluto, tra storia e leggenda. Vite di santi, beati e figure religiose eminenti dell'arcidiocesi di Spoleto Norcia" (edito da Spoleto crediti e servizi) con pref. del vescovo Riccardo Fontana. Dall'eremo di Camporio, Teresa Bertoncello mi aveva parlato di questa sua opera che le ha richiesto tre anni di lavoro. Da considerare che si tratta della rilettura di una eremita della biografia di Ludovico Jacobilli di un altro eremita, il beato Demetrio. E' stata edita in occasione dell'Anno Santo del 2000. (ms)

Bibl.: Lodovico Jacobilli, Vite de Santi et beati dell'Umbria II, pagine 329-30; A. Blasucci, Bibl. sanct.; Acta ss. octobris,, V; B. Mazzara, Leggendario francescano, XI, Venezia 1729; Demetrio d’Albania, AASS Octobris V (Brussels, 1786), 6; Mariano da Firenze, AFH 4 (1911), 334; Wadding, Annales Minorum XV, 369, 589-590 (n.7).
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Un centro propulsore della vita eremitica della valle spoletana fu Monteluco di Spoleto
i cui eremiti erano di orogine anacoretica orientale avendo avuto inizio da sant'Isacco il Siro.
Presto si fece sentire l'influenza della Regola benedettina che caratterizzò soprattutto
il cenobio di San Giuliano, diventato abbazia; nonostante questo importante centro
monastico benedettino, continuarono a sopravvivere sul monte eremi autonomi.
A Monteluco, sia gli eremiti sia i cenobiti, non subirono influenze di altre esperienze
analoghe dell'Italia centrale (Fonte Avellana, Camaldoli, Vallombrosa).
Pietro Messa, Tra vita eremitica e predicazione, Ed.Porziuncola, Assisi, 2009

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La Tebaide di Monteluco

Nel museo archeologico di Spoleto è conservato un cippo iscritto dove sulla rossastra pietra calcarea è incisa la cosidetta "Lex luci Spoletina” ovvero la legge che rende inviolabile il bosco sacro (Lucus).
Tradotta essa recita: Questo bosco sacro nessuno violi. Non si trasporti né si sottragga ciò che al bosco appartiene, né si faccia legna se non nel giorno del sacrificioannuo. Solo in quel giorno, in funzione del sacrificio, sia consentito di tagliare. Chi trasgredirà offra a Giove un bue come piacolo. Se lo farà consapevolmente e con cattiva intenzione, a Giove offra un bue come piacolo e paghi 300 assi di multa. Il dicator sarà incaricato della requisizione della multa e del piacolo”. (Una copia del cippo è posto in cima il Monte Luco, tra i lecci secolari che ne coprono la sommità. Nel buio del bosco, quando qualche lama di luce penetra a rischiarare momentaneamenre le quinte dei tronchi, simili a colonne di un tempio, si ricrea perfetta I'antica suggestione che faceva ritenere questo luogo "terribilis" perchè qui si manifestava il dio.
Il bosco è il più antico e primitivo tempio. Esso per i latini è sacro a Diana, “regina nemorum”, la dea della luce e del chiarore improvviso che appare nelle radure luminose (il 'Lucus" originariamente indicava la radura, solo più tardi fu esteso al bosco). Rendere sacro un luogo è forse il più remoto tentativo di difesa dell'ambiente; già gli antichi erano consapevoli che lasciare l’uomo libero di seguire i propri immediati interessi avrebbe portato rapidamente alla completa devastazione di ogni risorsa naturale. I latini distinguevano il “Lucus” dal “nemus”, il bosco inframmezzato di pascoli utile all'uomo, dalla “silva”, incolta e impenetrabile.

Spoleto - Rocca, Ponte e Monteluco

Ma con il tramonto del paganesimo, gli anacoreti osservano il mondo con occhi diversi. Scegliendo proprio le selve e i luoghi "deserti" per la loro ascesi, affrontano le antiche divinità, ormai ridotte a demoni immondi, proprio nel loro regno, annientandole. Tale fase è spesso fortertemente accentuata nelle leggende agiografiche, che esaltano la lotta dell'eroico solitario contro i draghi e i serpenti, simboli dello spazio informe e disordinato, santificato così dall' “uomo di Dio" e riconquistato al cosmo cristiano. Sul Monteluco, che funge da sfondo naturale alla città di Spoleto, I'inizio del movimento eremitico viene fatto risalire dalla tradizione, alla fine del V secolo. Ci racconta Gregorio Magno che il monaco Isacco, fuggito dalla Siria, si ritirò nei boschi prossimi a Spoleto, seguito poco dopo da numerosi discepoli. Inizia qui una tradizione eremitica che durò ininterrotta fino agli inizi del nostro secolo. In origine la comunità fu sicuramente disciplinata, con le laure organizzate attorno ad un oratorio dove risiedeva l’abate.
Si è propensi a credere che questo sorgesse sul luogo dell’attuale S. Giuliano, suggestiva chiesa romanica probabilmente eretta su un più antico edificio paleocristiano. Succesivamente fu accolta la regola benedettina, ma senza rinunciare alla solitudine dell’eremo; la vita cenobitica non prese mai il sopravvento e più tardi gli eremiti, sotto la guida del vescovo di spoleto, si costituirono in un’autonoma congregazione che visse fino alla soppressione del 1795 (Napoleonica nrd).


Chiesa di s. Giuliano, Monteluco, Spoleto

Ben quindici furono gli eremi che andarono via via organizzando sul Monteluco. (…) Oggi solo l’eremo francescano, costruito presso la chiesetta di S. Caterina d’Alessandria, è in mano ai religiosi, mentre tutti gli altri sono divenuti ville private. La tradizione vuole che fosse personalmente S. Francesco a fondarlo, costruendovi delle capannucce di frasche e di calcina, ma le Fonti tacciono completamente. (…) E’ l’unico eremo visitabile; per gli altri bisogna rivolgersi alle famiglie proprietarie delle ville.
Andrea Antinori (1)

Da Andrea Antinori, "I sentieri del silenzio. Guida afli eremi rupestri e alle abbazie dell'Appennino umbro-marchigiano", Club Alpino Italiano, Società Editrice Ricerche, 2da ed., Folignano (AP), 2009


Approfondimenti

L'ALBANIA E I FRANCESCANI
ai tempi del beato Demetrio

"I francescani già nel sec. XIII avevano istituito proprie sedi conventuali in Albania. Inizialmente esse dipesero amministrativamente dalla provincia di Slavonia, denominata dopo il 1393 provincia di Dalmazia, divisa a sua volta in custodie. Quella dalmata fino alla fine del secolo XIV apparteneva alla Custodia di Ragusa. (...)
Più tardi papa Eugenio IV, evidenziando il ruolo dei francescani, ai quali accordava stima e fiducia apprezzandone l’efficace oratoria, nel 1431, appena nominato papa, nel tentativo di sanare la situazione religiosa balcanica di estremo disagio e che si protraeva da fin troppo tempo, tentò di risolvere finalmente l’unione delle chiese d’Oriente attraverso la formula collaudata del Concilio (Ferrara e Firenze 1438-1442), chiamando in suo aiuto sei fra i più affermati predicatori francescani dell’epoca: fr. Giovanni da Capestrano, fr. Giacomo de Primadizzi, fr. Giacomo della Marca, fr. Alberto da Sartean, fr. Bartolomeo da Giano e fr. Lodovico da Bologna.
Ma la disunione cristiana non era l’unica preoccupazione papale, anzi, un pericolo più grave minacciava non solo i Balcani ma tutto l’occidente. I Turchi, infatti, che già nel 1354 erano approdati in Europa e si erano stabiliti a Gallipoli, erano ripartiti alla conquista di sempre più ampi territori balcanici e dopo Adrianopoli, eletta loro capitale nel 1360, e la Tracia, tentarono di estendere la loro sovranità in Albania, in Bosnia e in Ungheria.
Nel 1443 Eugenio IV indisse una prima crociata "chiamando a raccolta tutti i cristiani in aiuto dell’Albania, dell’Ungheria e della Repubblica di Ragusa che costituivano il baluardo più esposto all’offensiva turca.
Anche in quest’occasione furono i francescani lo strumento di cui si servì la Santa Sede. Ai predicatori di quest’ordine, muniti di speciali facoltà, fu conferito il preciso compito di rendere noto alla comunità cristiana il volere del papa e di reperire fondi per la realizzazione di una flotta pontificia onde portare a buon termine questa impresa di salvezza. Le indulgenze e le assoluzioni, anche quelle riservate al papa, dovevano essere ampiamente concesse e servivano a vincere la riluttanza di una vasta parte di popolazione non decisamente convinta della felice conclusione dell’azione bellica.
Il più illustre predicatore francescano chiamato dal papa ad annunciare la crociata fu fr. Bernardino da Siena che, pur morendo di lì a poco e non riuscendo portare a termine la sua missione, lasciò dei proseliti illustri (...)  tra questi si ricordano fr. Alberto da Sarteano, inviato a Gerusalemme per avviare le trattative con i cristiani orientali, e fr. Giacomo della Marca, che lavorò molti anni come missionario in Bosnia, Ungheria e Boemia.
Naturalmente le popolazioni cristiane che correvano maggiori rischi erano quelle stanziate sulla sponda orientale dell’Adriatico, e la sollecitazione a loro rivolta per lo sbrigativo approntamento di un esercito non fu neanche troppo pressante. Ma bisognava fare i conti con alcuni atteggiamenti ambigui, come quello tenuto da Venezia, che, puntando sulle trattative commerciali, trovava sempre il modo di accordarsi con il sultano, o dalla Repubblica di Ragusa, la quale, nel mese di febbraio 1442, benché proclamasse la sua assoluta fedeltà al papato, conestualmente stipulava un accordo con i turchi per liberalizzare il suo commercio nell’Impero Ottomano, impegnandosi in contropartita a pagare annualmente 1.400 ducati alla Sublime Porta.

In Albania il 1444 fu un anno di grandi fermenti. Si comprese, per la prima volta nella storia di questa regione, che soltanto l’unione fra i vari principati avrebbe portato alla sconfitta turca, nonostante le forze fra i due eserciti fossero enormemente sbilanciate. Così fu convocata un’assemblea che riuniva la quasi totalità dei  nobili albanesi (...) fu approvata la formazione di un’alleanza politica e militare, la “Lega di Lezha”; fu  decisa inoltre la creazione d’un esercito e di un fondo comune, alimentato dalle signorie albanesi (...) l’assemblea elesse Skanderbeg capo della Lega e comandante supremo dell’esercito federale di circa 18.000 uomini.
La Lega di Lezha era comunque una coalizione politica e militare creata con  l’unico scopo di combattere i turchi. L’autorità dei signori era mantenuta sovrana  sui propri domini, così come avveniva per lo stesso Skanderbeg. In quanto capo  della Lega, egli non era che primus inter parese non gli era riconosciuto alcun diritto d’intervento nei domini degli altri nobili. Anche nel resto dell’Europa fu chiaro che la scelta tattica del temporeggiamento non faceva altro che favorire il nemico. Negli ultimi mesi di quello stesso anno l’allestimento dell’esercito cristiano, guidato da Giovanni Hunyadi, fu ultimato ed esso fu finalmente pronto ad attaccare l’armata turca, mentre la flotta pontificia sotto la guida del cardinale Francesco Condulmer si dirigeva verso Gallipoli dove erano ancora stanziati i turchi. Pertanto, sicuro della vittoria cristiana, Eugenio IV decise, agli inizi del 1445, di organizzare e ampliare la raccolta dei fondi per il sostentamento degli eserciti cristiani e in questo suo energico impegno religioso e politico coinvolse il più possibile gli ordini monastici. (...)
La situazione politica nei Balcani non migliorò in seguito, ed Eugenio IV morì  senza poter assistere all’attuazione dei suoi desiderata. La sua vitalità battagliera e  il suo profondo impegno religioso furono raccolti dal successore Niccolò V, salito al soglio pontificio nel 1447.  L’idea chiave del nuovo papa nella sua attività antiturca si fondava sulla con vinzione che sarebbe stato possibile cacciare i turchi solo grazie a un’estesa unità  dei cristiani. Di fatto era questa l’unica strada praticabile in quel contesto sociale.  Ma la realizzazione di questo progetto per varie ragioni non poteva essere facil mente attuabile, nonostante il pericolo di una massiccia invasione turca fosse sempre più imminente in seguito alla caduta di Costantinopoli del 29 maggio 1453. Si cercò, è vero, di porre rimedio e fu indetta un’ennesima crociata il 30 settembre  di quell’anno, ma nella realtà dei fatti si continuò solo a discutere sulle possibili modalità di un intervento bellico.
L’Albania guidata da Skanderbeg era ormai diventata l’unica ancora di salvezza del mondo occidentale. E di questo si rese subito conto Niccolò V. Infatti il 20 giugno 1447 inviò un francescano, fr. Antonio ab Oliveto, come nunzio “ad partes Albaniæ et Sclavoniæ” concedendogli facoltà speciali, come solitamente avveniva  in eccezionali circostanze. (...)
Nel luglio 1447 fr. Antonio ricevette a Ragusa i dispacci papali e probabilmente avrà avuto modo di incontrare in quella città o lo stesso Skanderbeg o un suo emissario. Infatti nel dicembre di quell’anno a Napoli fece da intermediario con Alfonso V d’Aragona onde ottenere aiuti in favore del condottiero albanese. Ma, benché la sicurezza dei territori occidentali fosse seriamente in pericolo, sembrava che i governanti minimizzassero il rischio a cui andavano incontro, infatti ben poca cosa fu offerta da Alfonso che, il 14 dicembre 1447, nonostante le preoccupate sollecitazioni s’impegnò sulla parola con  e inoltre avrebbe offerto ospitalità nei suoi possedimenti a Skanderbeg e alla sua famiglia nel caso  di fuil condottiero albanese a mettergli a disposizione alcune navi qualora ciò si fosse reso indispensabile,ga dalla madrepatria.L’impegno diplomatico di fr. Antonio fu largamente meritorio perché dopo la morte di Skanderbeg, avvenuta il 17 gennaio del 1468, gli albanesi lasciarono la madrepatria e, scortati da navi veneziane, si rifugiarono presso la corte aragonese e da lì si stanziarono poi negli insediamenti che ancora oggi esistono in Calabria e in Sicilia. (...)
Il (successivo) pontificato di Callisto fu brevissimo e appena un anno dopo, anche per il suo successore, Enea Silvio Piccolomini, eletto papa con il nome di Pio II, la principa le preoccupazione furono i turchi e particolarmente la difficile situazione del regno di Bosnia, che in quel periodo era il più indifeso territorio dei Balcani. E anche allora fu un francescano, fr. Mariano da Siena, ad avere il compito di sensibilizzare
i regnanti per convincerli a portare aiuti militari.
Il principale impegno del nuovo papa, ossia creare una forte unità degli Stati cristiani ai fini della crociata antiturca, non si differenziava da quello dei suoi predecessori. Però nonostante la lunga esperienza diplomatica, l’innegabile versatilità e gli sforzi immani del pontefice, l’attività di promozione della crociata si risolse in un insuccesso quasi totale.

L’attività antiturca di Pio II (1458-1464) e i tentativi dei due suoi successori Paolo II (1464-1471) e Sisto IV (1471-1484) dimostrarono chiaramente che non sarebbe stato più possibile risolvere il pericolo turco con qualsivoglia crociata. I tempi erano ormai cambiati e le popolazioni non rispondevano più ad alcuna sollecitazione, fosse anche in nome di Cristo.
Questa constatazione condizionò il futuro soprattutto di quei popoli dei Balcani che, dopo la morte di Skanderbeg, divennero preda del nemico, ormai certo di non avere più alcun antagonista di elevato spessore. Ma l’esercito di Skanderbeg e la sua gente, costretti ad abbandonare la loro terra, continuarono la loro storia in Italia. 
Ed è interessante notare che fra i tanti i soldati albanesi venuti nel nostro Paese al seguito di Skanderbeg, alcuni si distinsero per la fede, che li avrebbe portati agli onori dell’altare. Così avvenne per il beato  Demetrio d’Albania, terziario francescano, che passò mezzo secolo in eremitaggio in Umbria, dove morì nel 1491.
La figura di questo frate è a volte confusa con quella di un omonimo che pare sia stato originario di Milano e abbia svolto opera di missionario in Albania. Potrebbe trattarsi sempre della medesima persona rientrata dall’Albania in Italia. In ogni caso, della figura del beato vengono ricordate la santità nell’affrontare le estenuanti veglie e le continue tentazioni (Petta 1996: 20). 
Un altro soldato, reclutato nelle Marche nell’esercito degli Sforza, fu Giorgio Albanese, convertitosi alla fede cattolica e fattosi frate dopo essersi salvato in extremis da una condanna a morte, inflitta a lui e ai suoi compagni per aver compiuto brutale saccheggio. L’unico a salvarsi fortunosamente dall’esecuzione
capitale sarebbe stato il solo Giorgio, che si rifugiò poi fra i francescani di san Giacomo della Marca e lì condusse vita esemplare fino alla sua morte avvenuta nel 1495 (Petta ?: 20).
Furono questi gli epigoni dell’esercito di Skanderbeg rimasti in Italia mentre l’Albania veniva invasa dagli ottomani. Ma una cosa è certa che mentre i grandi ordini religiosi erano scomparsi “lasciando solo le rovine imponenti dei loro monasteri a rendere testimonianza della vitalità e della floridezza cattolica dell’alto Medio Evo” (Cordignano 1934: 229) nel territorio albanese erano rimasti solo i francescani “avanzo di un grande esercito religioso".

Sintesi * dall'intervento I FRANCESCANI NEI BALCANI (vedi pagine 28 ss) di Maria Francesca De Miceli, Università di Palermo.

*) Estratto da: Centro interdipartimentale di studi balcanici e internazionali, “I francescani nella storia dei popoli balcanici” (atti del convegno internazionale di studi nell’viii centenario della fondazione dell’Ordine) Venezia, 13-14 novembre 2009, a cura di Viviana Nosilia e Marco Scarpa, Venezia 2011.

FRANCESCANI IN ALBANIA OGGI
E LA NUOVA FRATERNITA' OFS

Da un intervista di Roberto Luzi a mons. Angelo Massafra Ofm, vescovo metropolita di Scutari-Pult sulla presenza francescana in Albania: "L'Ofs d'Italia, su incarico del Ciofs (il Consiglio Internazionale), ha avviato rapporti con la nascente fraternità nazionale dell'Ofs di Albania, secondo la logica del 'prendersi cura' che serve a guidare i primi passi del francescanesino secolare in quella terra." 
La secolare presenza francescana in Albania, infatti, è stata interrotta da un lungo cinquantennio di regime comunista in cui l'ateismo era di stato, vitata la manifestazione pubblica di qualsivoglia fede religiosa. Un lungo inverno terminato negli anni '90 del secolo scorso.
Mons. Angelo Massafra: L'Albania ha tre milioni di abitanti, al 70% musulmani e per circa il 10% cattolici. L'origine dell'evangelizzazione dei territori albanesi sono risalenti al primo secolo dell'era cristiana secondo quanto dichiarato dallo stesso apostolo Paolo: "Così da Gerusalemme e dintorni fino all'llliria, ho portato a termíne la predicazione del Vangelo di Cristo" (Rm 15,19). I francescani già nel secolo Xlll avevano istituito sedi conventuali in Albania. lntorno al 1635 una missione francescana raggiunse l'Albania settentrionale e così le 19 tribù residenti continuarono a osservare la fede cattolica.

Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, i cattolici albanesi erano molti. Ma, con l'avvento del regime comunísta, iniziarono i disagi. lnfatti, anche se la Costituzione del 1946 garantiva libertà religiosa, i loro spazi vennero drasticamente ridotti. Gli Ordini religiosí furono sciolti. Fra gli altri l'arcivescovo francescano Nikolle Vincenc Prenushi (1885-1949) di Durazzo, si rifiutò di dar vita a una Chíesa nazionale autonoma e fu condannato ai lavori forzati. Rimase libero soltanto l'arcivescovo francescano Bernardin Shllaku di Pult, a capo di una Chiesa cattolica ridotta nelle proprie giurisdizíoni, costretto con la forza a sottomettersi. Dopo il 1967,|e cose peggiorarono e la Chiesa cattolica cessò di esistere. La Costituzione del 13 novembre 1967 dichíarò l'Albania primo Stato ateo del mondo.

Alla fine del XX secolo la libertà religíosa è stata lentamente reintrodotta. Un nunzio apostolico è stato reintegrato a Tirana, come pure le due arcidiocesi: Tirana-Durazzo e Scutari-Pult. Vi è inoltre un' Amministrazione apostolica dell'Albanía meridionale. Oggi in terra albanese sono rientrati tutti gli ordini monastici e si assiste a un rinnovato interesse per la fede cattolica, dovuto principalmente a due personalità: Madre Teresa di Calcutta, albanese di Skopje, e papa Giovanni Paolo ll, che visitò il suolo albanese nel 1993.

La presenza francescana in Albania costituisce una grande risorsa, sia culturale che politica, che ha contribuito notevolmente alla crescita di questa regíone. Senza i francescani, oggi, la storia albanese non sarebbe la stessa. A dicembre scorso abbiamo avuto la visita del Ministro generale OFM, fra Michael Perry, che ha incontrato i frati della Provincia della Beata Vergine Maria Annunziata: sono 27, di cui 8 di altre province e 19 albanesi. La Provincia è divenuta "Custodia di Albania e Montenegro" dipendente dal Ministro generale. I frati sono impegnati in una genuina testimonianza evangelica e nell'annuncio della fede.

Le fraternità OFS in Albania sono cinque, quattro nella parte nord, a Scutari, in strutture dirette dai frati minori, e una a Fier, nellAlbania meridionale, seguita dai frati conventuali. ln totale vi sono circa 120 francescani secolari. Nel nord del Paese cè una realtà Gifra ben avviata, grazie alle suore francescane missionarie del Sacro Cuore. Le fraternítà hanno pochi strumenti per lo studio; in generale ci si affida al solo Catechismo della Chiesa, e sanno ben poco di francescanesimo.
Sarebbe utile fornire loro i primi e indispensabili strumenti per la vita di fraternità: la preghiera, liturgica, la traduzione delle Fonti Francescane e dei testi di formazione. È stato tradotto anche un libro su santa Elisabetta. Oltre a quest'attività editoriale, si possono organizzare incontri e seminari, ma anche soggiorni in fraternità pilota in ltalia. I fratelli albanesi hanno bisogno di sentirsi sostenuti dai francescani secolari italiani. 

da FVS Francesco il volto secolare, anno 13, n.1, gennaio 2015.
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(1)  Andrea Antinori, geologo, alpinista e docente di materie scientifiche nei licei, è Operatore Nazionale TAM (Tutela Ambiente Montano) del Club Alpino Italiano. Da anni si dedica alla scoperta e allo studio di antichi itinerari e degli spazi sacri dell'Appennino, su cui ha pubblicato innumerevoli articoli in guide e riviste.